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sabato 26 dicembre 2009

Come dalle Svalbard a Lucca e ritorno



Ciao nonna, mi dispiace.
Mi dispiace, sì, ma non potevo rimanere lì con te e la mamma. Abiti in un posto fantastico, e quest'estate ho visto quante meraviglie può darci il mondo. Ho imparato tantissimo da quest'estate, compreso il fatto che nel mare si possono fare i bagni senza morire di freddo, e poi che il sole ci può asciugare con una carezza calda.
Ma mi mancava la carezza del babbo, molto più calda di qualsiasi sole. E non è solo questo. Ho iniziato l'anno scolastico a casa vostra, a Lucca. Bellissima.
La scuola, le maestre, i compagni, è tutto diverso. Bello, ma è una bellezza troppo visibile, forse troppo semplice, che non mi entusiasma, alla fine. Via via che si avvicinava il Natale, ripensavo alla notte infinita, a quel buio che ti rende la vita difficile, ma che ti avvolge, e ti accarezza, come il babbo. Da voi non c'è il profumo del Natale che abbiamo qui, non fa abbastanza freddo. Mi scappava da ridere quando ai primi di novembre ho visto te e le tue amiche mettervi addosso tutti quegli animali morti per proteggervi dal freddo che non c'è. Mi ha raccontato il babbo che tanti anni fa anche qui uccidevano gli orsi per fare cappotti e per difendersi, adesso li uccidono solo quando è proprio necessario per salvarsi la vita .
Ti giuro che ci ho provato: volevo tanto stare con voi ma non ci sono riuscito.
Il babbo è venuto a prendermi all'aereoporto con la maestra e insieme siamo andati alla mia scuola dove abbiamo fatto gli addobbi di ghiaccio e dopo abbiamo mangiato frittelle .
Quando siamo arrivati a casa ho trovato nella mia camera la foto della mamma e del babbo che prima stava in salotto. Il babbo mi ha spiegato che vuole tanto bene alla mamma perchè è grazie al loro amore che sono nato io, ma adesso non potevano più stare insieme perchè alla mamma non piaceva questo modo di vivere, del resto nemmeno il babbo avrebbe potuto starsene in via Fillungo a guardare le vetrine o in fila per tornare a casa. Hanno deciso così per il rispetto di quell'amore che li ha tenuti insieme tanto tempo: entrambi hanno adesso scelto la vita che desiderano. Non è come sussurravi alla mamma, no: la nostra non è una famiglia rovinata. La mamma è felice di essere tornata a Lucca, il babbo non ha più il tormento di averla portata qui. E io sono più felice adesso di prima.
Vorrei tanto che tu venissi a trovarmi per conoscere la mia maestra che adesso vive con noi e ti prometto che quando comincerò a studiare per continuare il lavoro del babbo verrò ad abitare da te.
Il babbo dice che non devo mettere dentro la lettera la formina di ghiaccio a forma di cuore che ho fatto per te e la mamma, perchè si scioglie e scolora l'inchiostro. Allora insieme alla lettera ci metto la foto, prima che si sciolga. Ricomincerò a scriverti e a parlare con te su Skype, ma questa lettera volevo che rimanesse: la carta e l'inchiostro hanno il loro profumo, come il Natale. Il profumo del Natale non ha alberi, foglie, formiche, cani, fiori. Il profumo del Natale è fatto di carezze e abbracci. E anche di buio che avvolge. Aspetterò con trepidazione l'arrivo del primo sole, qui a Longyearbyen.
A marzo, con gioia.
Ti voglio tanto bene, come dalle Svalbard a Lucca e ritorno
Francesco

mercoledì 16 dicembre 2009

...come da qui alle Svalbard e ritorno


Caro babbo,
ho tanto bisogno di scriverti ora, e lo sto già facendo. Lo so che ci siamo parlati ieri notte su Skype, ma sono così impaziente di dirti quello che mi è successo oggi, che non ce la faccio ad aspettare. E poi mi piace scriverti.
Stamani io e la mamma siamo usciti per andare in città. Avevo con me la scatola che mi aveva spedito la nonna e stavo con il naso incollato al finestrino della macchina a guardare.
La strada, l'erba, le persone che camminavano senza berretto, i colori; c'erano troppe cose da guardare, e poi il cielo. Era blu, blu come non ti so spiegare, blu come la casa del tuo amico Sven, ma il colore era sospeso in aria e verniciato in tutto il cielo. La mamma ha parcheggiato in una piazza, piazza Santa Maria, intorno c'erano delle belle case colorate come a Longyearbyen, e siamo saliti sulle mura. Mentre camminavo, sentivo il rumore dei sassolini sotto le scarpe, non gli scarponi, e camminavo sul bordo dove c'è l'erba, tenevo la scatola della nonna sotto il braccio. Ho visto le formiche che trasportavano pezzetti di foglie, bricioline di pane, tantissime formiche. E dei signori in bicicletta, tantissimi anche loro, come nella palestra, ma loro non stavano fermi sui rulli, no, anzi, si muovevano molto velocemente. Il mondo è meraviglioso.
Mi accorgo che non ce la faccio a dirti le cose in ordine come vuole la maestra Ingrid, vorrei dirlo pure a lei che cosa mi sta succedendo, anzi glielo dirò sicuramente. Comunque, ti stavo dicendo che siamo saliti sulle mura grandissime e robuste della città, e abbiamo fatto una lunga passeggiata. Dopo poco ho detto alla mamma di fermarsi, ho aperto la scatola e ho tirato fuori una foglia. Le foglie dell'albero erano uguali alla mia: con le punte come una stella, il rigo nel mezzo, il gambo in fondo. Quante volte l'avevo presa tra le mani! La mamma ne ha staccata una dall'albero e me l'ha data. Una foglia. La mia era secca e gialla, invece questa non faceva rumore a piegarla tra le mani, era verde, e aveva un profumo di fresco. La mamma mi guardava e rideva. Era una foglia di platano; l'ho appoggiata sul viso, era morbida morbida. Il platano è gigantesco, il tronco è marrone chiaro, ha le radici nodose e lunghe; è saldo nel terreno. Ho messo la foglia fresca nella scatola e abbiamo continuato a camminare.
Avevo caldo mentre camminavo, ero contento ed emozionato. Il vento era una specie di carezza della mamma, non tagliava la pelle. Mi sembrava che tutte quelle belle cose stessero lì per me, solo per farmi piacere, e io ridevo e ringraziavo il cielo e gli alberi e le formiche e le farfalle e i cani e i gatti e le biciclette e tutte quelle belle persone di esistere. E il sole. Mamma mia, come scaldava, e come era alto! Abbiamo continuato la passeggiata, e io sono ruscito a riconoscere e confrontare la foglia del tiglio, del leccio, del pioppo, dell'ippocastano. Il tiglio aveva i fiori gialli e un profumo buonissimo, che non so descriverti. Non riesco a parlarti degli odori, quelli vanno sentiti e basta, posso dirti che ne ho sentiti tanti. Anche la terra fresca. Alcuni fiori. L'erba. E poi il sapore dell'erba. Anche se la mamma non voleva, ho preso un filo d'erba e l'ho strizzato tra i denti. Aveva un sapore acidulo e allegro.
Io penso che le persone che stanno qui siano felici. Non manca loro niente. Eppure ho visto alcuni visi seri seri, forse anche tristi. Tristi come lo sono diventato ora, improvvisamente, da un secondo. Tutte quelle cose e persone che mi stavano intorno non possono far niente per la mia tristezza. Mi manchi, babbo. Forse a quelle persone tristi manca il loro babbo. Mi manchi tu e il vento polare, e i tramonti che durano un giorno intero, il giorno polare che dura quattro mesi e la notte polare, quella che dura quattro mesi. Mi manca anche quella. Le partite con te a Visual Game nelle notti che non finiscono mai; ora che ho rivisto gli alberi, quando mi capiterà la tesserina con la scritta "albero" non avrò più incertezze. La mamma non me l'ha detto, ma credo che lei non voglia più tornare da te alle Svalbard. Io sono orgoglioso di te, che fai un lavoro importante, che ti piace. Mi hai detto un giorno, serio serio, che studiare i cambiamenti del clima delle Svalbard è importante per tutto il mondo. Wow! mi sono detto, il mio babbo fa una cosa importante per tutto il mondo. Finite le vacanze estive, ricomincerò le scuole qui. Io spero che tu venga presto a trovarmi. Oggi ti ho spedito la scatola della nonna, con le foglie nuove. Ci ho scritto platano, e leccio, e pioppo, e ippocastano, e tiglio.
Voglio che tu venga presto a trovarmi, ti aspetto.
Ti voglio bene come da qui alle Svalbard e ritorno
Francesco

martedì 8 dicembre 2009

Viaggio in Scozia 6: i verdi e i blu di Glencoe








Venerdì dodici giugno 2009, mattina.
Giornata stupenda, al momento. Il sole occupa di diritto la dining-room in legni chiari del B&B dove ho appena dormito. Dopo la colazione, chiedo ed ottengo dalla padrona di casa il permesso di attardarmi in soggiorno, sfruttando la loro Wi-Fi e il mio piccolo e leggero pc per cercare un alloggio per stasera. La ricerca non è molto facile, durerà per circa un'ora: all'approssimarsi del weekend molti residenti si spostano, anche di poco, per dormire fuori casa. Trovo finalmente un alloggio a Crianlarich, telefono per prenotare e finisco di preparare i bagagli, parto tardissimo rispetto agli altri giorni, le undici passate. Dopo otto chilometri dalla partenza, attraverso un ponte nel tratto in cui l'ampio Loch Linnhe si restringe e diventa il Loch Levin. In realtà sono entrambi due tratti di mare che degli stretti istmi fanno passare per laghi. Ci si confonde, come dicevo qualche giorno fa, sulla denominazione - mare, fiume, lago - degli specchi d'acqua, e il confondimento è un piccolo grande piacere. Sarei tentato, se non fosse tremendamente tardi, di tuffarmi sfidando le basse temperature dell'acqua. Ci sono spiagge, qui, che non hanno niente da invidiare a certe spiagge dei mari del sud. L'acqua è però così fredda da consentire solo rapidi bagni con un accappatoio che ti aspetta fuori del mare. Tiro innanzi e attraversando il ponte inizio una strada in direzione sud-est che mi allontanerà sempre più dal blu del mare e mi condurrà verso il verde, che siano erbe di pascolo o faggi o abeti o larici.
A sinistra della strada intravedo un piccolo centro, Glencoe, dove mi fermo a fare rifornimento di acqua e Kit-Kat. Glencoe è anche il nome di questa specie di gola lunga e stretta che si inerpica in questa zona montuosa. Ora percorro la strada di fondovalle in costante ma non ripida salita.
Passo il primo piccolo valico e ho sulla destra e sulla sinistra della strada due monti alti circa mille metri. Sulla loro sommità ci sono placche di ghiaccio. Lo zero termico è bassino da queste parti. Più avanti, un lago dal colore verde e blu.
Le mie parole sono inadeguate per descrivere paesaggi del genere.
Hai tutta la imponente visuale dei monti senza ostacoli, dalla base alla cima: smussati, sono di derivazione geologica antica, il resto del lavoro l'ha fatto il vento, hanno dei solchi che li percorrono per tutta la loro altezza, se osservi meglio ti accorgi che sono dei piccoli torrenti. Ti soffermi poi sul verde: non pensavi che potesse essere di così tante sfumature. Da queste parti hanno girato "Highlander" e "Brave heart", per la fotografia non hanno avuto grande necessità di ritocchi. Per chilometri e chilometri sarà sempre uguale e sempre diverso. Gli ingredienti si mescolano: puoi vedere l'erba diventare a tratti roccia, dei torrenti riversarsi in un laghetto, un bosco di abeti intorno al lago, alzi gli occhi e ti soffermi sul cielo ha ripreso a produrre nuvole di varia foggia, il vento che ti accarezza. Oppure vedi in lontananza altri tre monti che sembrano sbarrare la strada - due ai lati, uno davanti - e pensi con soddisfazione che, in modo del tutto misterioso, passerai proprio da lì. Chilometri e chilometri di niente, di verdi e blu che si mescolano e si compenetrano, al punto da chiederti se arriverai mai in un centro abitato.
Dopo il valico, una lunga discesa, ancora laghi, fino ad addentrarsi in un fitto bosco che mi accompagnerà fino a destinazione. Nel frattempo il clima ha fatto in tempo a mutare: una minuta pioggia che mi fa desiderare, unita alla fame e alla stanchezza, una camera e un pasto caldo.
Sono le sette e tre quarti, ho attraversato Crianlarich, riprendo il bosco e vedo la mia meta: il vialetto di ingresso che conduce ad una casa bianca con tetto di paglia, due comignoli accesi, la riserva di legna da un lato e due pendii colmi di verde che la accarezzano. In questo momento non chiedo di meglio: essenza, bellezza, semplicità.
A domani
(Toni La Malfa)
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