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mercoledì 29 settembre 2010

Una buona nostalgia















Mi trovo a camminare in un paese in silenzio.
L'ora è tarda, ma non troppo. Se fosse estate piena, sentiresti le cicale che urlano e sferragliano come una vecchia locomotiva, una colonna sonora festosa, una specie di Buena Vista Social Club, e la luce ti inonderebbe ancora di calore.
Invece non è più estate, non è ancora autunno, e la luce di un lampione prevale sul sole al tramonto; una luce tiepida, discreta come le nocche di una bambina che bussano alla porta.
Mi trovo sommerso da buone sensazioni. Questo lampione è una specie di madeleine che mi rimanda alle scuole elementari, gli anni del boom economico, dell'esplosione demografica che ci costringeva a fare i doppi turni nelle scuole, un mese la mattina e uno il pomeriggio. Erano le cinque e mezzo di sera, un ottobre anni 60, a Piombino, mi vedo a dieci anni con la cartella e il giacchettino blu di ordinanza che stavo tornando a casa a piedi, poca gente per strada, una nebbiolina e un fresco non ancora freddo, ormai non più caldo. La luce del lampione che rischiarava sé stesso e poco altro, regalava ombre sui muri e la mia ombra, che si accorciava e si allungava ad ogni nuova luce.
E oggi, come allora, sento di desiderare questo stato, che la bella estate sarebbe insostenibile se non lasciasse mai il passo a questa nuova dimensione. Che permette di soffermarsi sui chiaroscuri, sulla morbidità dei contorni. Un poco più raccolto, raggomitolato, dimesso.
Una campana sta suonando, sette rintocchi in tutto.
Non voglio altro adesso, solo una buona nostalgia.

martedì 14 settembre 2010

I cieli a Capo Nord















































Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt. La saggezza del pantofolaio Orazio - da menzionare anche "parva sed apta mihi", iscritto sulla sua casetta - ci ricorda che è inutile andarsene a tremila chilometri da casa nella speranza di cambiare il proprio stato d'animo. In realtà il mio animo mi sembra un po' rasserenato - se non per merito del viaggio, forse sarà per un innalzamento della glicemia di cui non mi sono ancora accorto - comunque è certo il fatto che i cieli cambino tantissimo da queste parti. Pare che le nuvole viaggino molto velocemente(non ci sono tante terre, a queste latitudini) e inoltre le infinite ore di luce estive consentono di guardare un panorama che "mutat" di continuo, per giunta esaltato dalle varie angolazioni della luce del sole, perlopiù radente. E d'inverno lo spettacolo è garantito dalle aurore boreali, anche se su uno sfondo di freddo intenso e precipitazioni nevose.
Oggi è il ventinove giugno, martedì. Ho cieli a disposizione per tutto il giorno, e dovrò percorrere centoventotto chilometri in bici per arrivare vicino a Karasjok. Anche se dovrò pedalare per tante ore, approfitto del fatto che ho già prenotato per stasera e che il sole non tramonterà, per attardarmi al punto di partenza, Kautokeino, presso la casa-museo "Juhls Silvergallery" costruita dai coniugi Juhls, che hanno tratto ispirazione dalle forme dei monili del popolo Sami per creare i più disparati oggetti di gioielleria - perlopiù argento, ma utilizzano qualsiasi materiale - e anche sculture e pitture. Un bello spettacolo: la casa, concepita secondo morbide linee curve e pendenti, si integra perfettamente nel bosco alla periferia di Kautokeino; il suo interno è avveniristico ed accogliente al tempo stesso, e i gioielli fotografano e tramandano un artigianato che sarebbe andato altrimenti perduto: spirali infinite in bracciali e orecchini, giochi di colonne e piramidi che si tuffano in cerchi concentrici, lune e soli, e stelle. Bravi.
Esco dal museo alle 11,30, temo che arriverò tardissimo stasera. Pazienza. Anche volendo, non potrei far niente per arrivare prima. Mi fermo a comprare acqua, salame, due panini, e cinque "kvikk lunski", identici al kit-kat(chissà che non sia un boicottaggio dei norvegesi nei confronti della Nestlè).
Per tutto il viaggio percorrerò una valle incuneata tra monti e colline, scavata dalla forza di ghiacciai che hanno lasciato laghi e fiumi nel fondovalle. Il primo tratto di venticinque chilometri è in comune con la strada di arrivo di ieri, questo è un po' scocciante. I cieli però variano lo stesso, merito delle nuvole. Sono partito con un cielo plumbeo, via via si è alleggerito lasciando squarci di azzurro. Fa quasi caldo, e appena c'è caldo qui si scatenano le zanzare. Per fortuna non ce la fanno ad appoggiarsi su di me mentre pedalo, per cui è solo un fastidio psicologico: in certi punti dell'aria si vede scuro da quante ce ne sono. Anche il decorso del fiume varia di continuo: ci sono delle anse che hanno creato banchi di ghiaia enormi, oppure degli isolotti di sabbia, e a volte questi isolotti sono interamente tappezzati di alberi. Verso le quattro c'è sole pieno con qualche nuvoletta qua e là, la temperatura è mite, sui 17 gradi; sono solo le placche di neve sulle colline un po' più alte a ricordarmi dove mi trovo. A guardare simili panorami, a sentire la brezza sul viso, il sole che ti scalda le ossa, a sentire le gambe che si muovono bene, ascoltando lo scroscio dell'acqua e i rumori del bosco, a fare tutto questo, insomma, ringrazi il cielo di essere vivo. Di quante opportunità e quante bellezze la vita può riservare. a volte avverto la pesantezza di alcune situazioni della mia vita che mi inchiodano al suolo, in altre - come adesso - mi sento leggero e anche il mio fardello prende il volo.
Gli ultimi quindici chilometri prima di Karasjok sono dentro un fitto e fresco bosco, arrivo al bed and breakfast alle nove di sera. E, come in un brutto sogno, il proprietario mi annuncia che oggi non ha consultato internet e non ha visto la mia prenotazione. E ora non c'è posto. Prima opzione: mi propone, scusandosi, di arrivare in paese ad un altro bed and breakfast. Il paese è a sette chilometri da qui, sono stanchissimo e ho fame, non ce la faccio. Allora, seconda opzione: mi ospita in casa sua. Approvato, anche se mi sento un po' in imbarazza. Per stanotte dormirò nel mio sacco a pelo piazzato su pelli d'orso che tappezzano quasi interamente il suo parquet(qui tutto è legno, dalle stoviglie alle scale al tavolo massello al bidone al lampadario) in soggiorno. Mi offre della renna cotta alla brace, buonissima, la divoro in pochi minuti. Mi chiede se voglio unirmi al fuoco fuori, c'è una specie di festa con dei suoi parenti, mi tiro indietro per la stanchezza, vado a dormire, crollo. Mi sveglio più tardi, verso l'una di notte, sento delle risa ed urla di bambini. Mi affaccio alla finestra e vedo una decina di persone che fa il bagno in un ruscello(immagino la sua temperatura), accanto c'è pronta una gigantesca tinozza(di legno, ovviamente) con acqua fumante, immagino quasi bollente. Dopo pochi minuti i bagnanti(bambini, uomini, donne, immagino tutti parenti del padrone di casa, lui incluso) si accovacciano tutti insieme, sorridenti e festaioli, nella enorme tinozza.
Il sole è alto nel cielo.
Torno a letto di buonumore, il loro sorriso mi ha contagiato.

domenica 5 settembre 2010

Etica e natura, vicino a Nordkapp























Dopo l'incontro con Capo Nord atteso da una vita(più o meno consapevolmente), ieri pomeriggio ho preso un autobus che mi ha rispedito ad Alta, al punto di partenza. Sono sceso in serata ad Alta con pioggia battente e freddo.
Ventotto giugno, lunedì. Stamani c'è il sole e nove gradi. Bene. Mi aspetta una pedalata di centotrenta chilometri per raggiungere Kautokeino, nel cuore della regione dei Sami, che in Norvegia hanno ottenuto riconoscimenti giuridici, sociali ed economici. Da novemila anni stanno in queste terre, è giusto che continuino a starci, ne hanno convenuto i norvegesi, gli scandinavi arrivati molto più tardi. Ci sono state aspre lotte per ottenere tutto questo, ma ora i Sami hanno un loro parlamento, un territorio, una lingua. I Sami residenti in Finlandia non stanno bene come loro, e quelli residenti in Russia, nella vicina penisola di Kola, praticamente non esistono giuridicamente. E' un bellissimo esempio - i Sami e i norvegesi - di convivenza pacifica e fruttuosa.
Molti Sami tutt'oggi vivono nomadi, in tende per lunghi periodi dell'anno, spostandosi in relazione alle migrazioni delle renne. Per vivere accanto alle renne, devi pensare come una renna, e correre come una renna. Il mondo, dicono, è nato da una renna speciale, una renna bianca: i suoi occhi sono le stelle, le sue vene i fiumi e i laghi, il suo manto i monti e le colline, ed il suo cuore sta al centro della terra. Quando hai perso la via, appoggia l'orecchio sul terreno e ascolta il battito del cuore della renna bianca: ti aiuterà a ritrovare la strada.
Per tutto il viaggio di oggi, mi troverò accanto al fiume Alta-Kautokeino, che nei primi quaranta chilometri(in realtà alla fine del fiume, vicino alla foce) si snoda attraverso strette gole, dei veri e propri canyon, con l'acqua che dà spettacolo di sé. Sono solo per decine di chilometri. Solo acqua, renne, boschi. Dopo cinquanta chilometri, in cima ad una collina - altitudine 400 metri - trovo una casa, l'insegna del caffé. Mi fermo. Si tratta di una casa, una fattoria, nel cui soggiorno hanno attrezzato una accogliente sala da té, con una torta di frutti di bosco e dei panini. Prendo un panino e un caffè. Mi godo le trine alle finestre, le foto di famiglia; nell'accogliente e pulito bagno c'è un angolo in cui hanno piazzato una poltrona. Torno in soggiorno, una coppia di turisti - gli unici che ho visto da stamani - se ne va, rimango solo ed incantato. La proprietaria è in cucina, sta preparando qualcosa per stasera, fuori c'è un uomo - forse il marito - che sta segando la legna. Poco dopo passa dal corridoio una bella ragazza di circa vent'anni - la figlia, immagino - con passo stanco, in ciabatte, che si dirige in una camera. Mi immagino una vita aspra, d'inverno c'è neve alta per mesi; qui si fermano le slitte con cani e motoslitte dirette ad Alta, in percorsi invisibili che solo la gente del posto conosce. Vado a pagare. Cinquanta corone, dice la signora. Pago con una banconota da cinquanta corone. La signora prende la banconota, la inserisce nel registratore di cassa, e mi fa lo scontrino fiscale. Lo scontrino. Nessuno fuori. Alta a cinquanta chilometri, Kautokeino a ottanta, foreste e un fiume. Lo scontrino. Lo guardo, e la signora mi saluta sorridente, che non capisce la mia sorpresa; forse capirebbe venendo in Italia, nell'Italia dei furbi. E' stata l'esperienza più sconvolgente di questo viaggio. Qui si respira etica, oltre all'odore della terra umida.
Ora sto pedalando in altopiano, con il fiume sempre impetuoso, tanti boschi e di tanto in tanto qualche placca di neve residuo dell'inverno. Una di queste, piuttosto grande, ha la forma di una colomba. E in quanto a volatili, ho la fortuna di assistere al volo di un'aquila. Mi fermo e la seguo finché la vedo, una decina di minuti di spettacolo. Le aquile mi emozionano, l'ho già scritto in questo blog. Non c'è alcun motivo legato alla sopravvivenza per loro di fare tutte quelle evoluzioni, di avvitarsi in aria sempre più su, è solo il piacere di farlo, probabilmente, di fare cose che nessun altro uccello sa fare così bene.
Il viaggio scorre placido accanto al fiume, anch'esso più calmo. Sono le otto di sera, sono arrivato a Kautokeino, trovo l'albergo.
Ho fame e sonno. E sono contento di essere arrivato qui.