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lunedì 14 febbraio 2011

San Pellegrino in Alpe e il ciclo naturale





























Un fraintendimento tra me e una segretaria. Il risultato? Oggi, martedì primo febbraio scopro che non ho appuntamenti fissati, mentre l'otto febbraio, se otterrò il dono dell'ubiquità dovrò essere contemporaneamente in due studi a settanta chilometri l'uno dall'altro. Troppo tardi per spostare gli appuntamenti a oggi, per l'otto si rimedierà in qualche modo. Dopo il primo momento di spaesamento, decido di sfruttare al meglio la giornata libera. Come? In bici, naturalmente. Un'occhiata rapida alle previsioni del tempo, freddo ma soleggiato, mi cambio alla svelta e alle dieci in punto parto con la bici per una destinazione che non ho il coraggio di dire a nessuno( dico genericamente in Garfagnana, una zona montana estesa e con tante destinazioni): San Pellegrino in Alpe. Mi è stato raccontato delle pendenze estreme di questa salita, per cui prendo la vecchia bici da corsa in acciaio che pesa  molto di più, ma ha tre moltipliche con morbidi rapporti da mountain-bike e i pedali con le gabbiette che nelle pendenze estreme mi fanno meno paura rispetto agli scarpini bloccati ai pedali(sono caduto poco tempo fa in una salita mentre cambiavo rapporto, mi è saltata la catena e non ho fatto in tempo a sganciare i pedali, per fortuna solo una contusione ad un fianco, ma mi è rimasta la paura). Alle dodici e trenta arrivo a Castelnuovo Garfagnana, mi fermo in un bar e mangio un pezzo di pizza ed un panino, chiedo informazioni al barista per la strada da percorrere.
"Per San Pellegrino? Dopo il ponte giri a sinistra, poi sali su per...diciotto chilometri."Mi scruta dubbioso, poi riprende "L'hai mai fatta?" "No" "Perché guarda che con la macchina ci vuole la prima e le gomme termiche, sei sicuro?" "No, ma casomai giro la bici e torno indietro, no?" "Ma poi proprio oggi, che ancora il tempo non si sa com'è..."
"Va beh, se il tempo è brutto torno indietro... grazie, arrivederci."
Il tipo mi sembra un po' apprensivo, io non ho molti argomenti, salvo il fatto che posso tornare indietro e che siamo in un paese libero. Alle 13 torno in bici. Si sale decisamente, va beh, lo sapevo. Ma mi piace. Dopo due ore di statale trafficata, sento il piacere dell'isolamento. Le auto sono sempre più rade, e dopo Pieve Fosciana a quattro chilometri, non passa più nessuno. Sento solo il vento e la bici. Le vette circostanti sono tutte imbiancate, sono emozionato. Anche gli alberi si diradano. Salendo ancora, individuo un altro rumore: il mio respiro, sempre più pesante. Ora sono a 900 metri di altitudine, a Chiozza, un piccolo agglomerato di case, e vedo la neve sui bordi della strada. I paesaggi sono mozzafiato: prati punteggiati da alberi, qualche piccola casetta, e il bianco della neve, che fa da zucchero a velo. Sono solo, adesso. Niente più case, provo un grande piacere. Nel sapere che le mie gambe mi stanno sospingendo oltre i mille metri, nient'altro che le mie gambe, sono grato al mio corpo e al mondo circostante. Mi viene da gioire per il qui e ora, per il fatto che spesso le cose belle della vita non possono essere previste e programmate nei minimi dettagli, che quella quota di sconosciuto è spesso un valore aggiunto. O lo vivi con terrore, oppure con gioia. Per ora propendo per la seconda possibilità. Adesso la neve si trova in cumuli sui bordi della strada, che è stata ben pulita, sono a 1200 metri, si avvicina il tratto finale, ci sono due gradi sopra zero.
Eccolo, il muro. Un cartello che segnala il 18% di pendenza, la strada va su diritta, il cuore in gola. Salgo sui pedali, il vento contro, che mi manda come spilli i fiocchi di neve del bordo strada. Vado avanti, un'occhiata al termometro sulla bici, meno uno, il vento di nuovo ora fortissimo, sto per scendere, provo a dire altre dieci pedalate, le conto, altre dieci, mi risiedo sulla sella, ora una curva, si attenua leggermente, forse ho percorso un chilometro, ne manca un altro, troppo. Di nuovo il muro, altro cartello al 18%, risalgo sui pedali, ora l'affanno è grandissimo, sento freddo alla testa e alle mani(da Castelnuovo avevo visto il sole e mi ero levato berretto e guanti), un crampo alla coscia destra, continuo ancora, alzo la testa e vedo più su delle case. Proseguo in grande affanno, vedo che mancano due tornanti. Sull'ultimo tornante un colpo di vento forte, sbando,  poi scendo. Proseguo a piedi per gli ultimi cento metri in preda a crampi ad entrambe le gambe. Ecco il cartello di San Pellegrino in Alpe, 1525 metri s.l.m.). Il vento non mi fa ragionare, ho freddo. Arrivo ad una piazza, c'è un bar, c'è scritto aperto, muovo la maniglia ma non si apre. Dall'altra parte della strada  un uomo - ma che avrà,  una fotocellula, una telecamera per avermi potuto vedere? - mi urla: "Arrivo!".
Arriva, mi apre il bar. Ordino un caffé doppio, prendo un pezzo di crostata alle albicocche, ne mangio un pezzo, mi viene la nausea. Chiedo del bagno, mi chiudo dentro e mi  stendo sulla tazza del cesso. Mi riposo, mi riprendo un po', torno nel bar.
"Da dove viene?"
"Da Lucca."
"Ah. Ogni tanto ne raccattiamo qualcuno."
"Chi raccattate"
"Ciclisti. Mezzi assiderati. Stanchi. Oppure hanno i crampi, si fermano e non ce la fanno a proseguire."
"Davvero?"
"Certo. Ora ci sono meno quattro fuori, e stamattina era a meno otto. Anni fa uno non ce l'ha fatta, ma non è stato il primo. E non sarà l'ultimo."
Mi tocco, e non per piacere.
"Mi fa una foto qui fuori, per piacere?"
"Riparte? Ma ora la strada è ghiacciata, non credo che ce la farà..."
Mi tocco di nuovo. "Mi può fare una foto?"
"Certo."
Usciamo un attimo, mi fa la foto, mi dà la macchina.
"Grazie."
Sto per partire, ma lui vuole aggiungere qualcosa, ho un presentimento che non sarà niente di buono.
"Ma non si preoccupi" mi urla ghignando nel vento "tutto rientra nel ciclo naturale, qui abbiamo tanti lupi."
"Arrivederci."urlo un po' incazzato, per niente divertito, e ricomincio guardingo il muro in discesa. La percorro lentamente per paura del ghiaccio, comunque vedo che nel centro della carreggiata non ce n'è, i cristalli si vedono ai bordi, ma il clima è secco, è solo una patina. Il vento, quello sì, fa paura. Sono solo i primi chilometri, poi ritorna una relativa calma, tale da potermi persino distrarre di nuovo con il panorama.
Il resto sono dettagli di una discesa lunga lunga: una sosta a un bar a Gallicano per gustarmi una cioccolata calda e sono arrivato alle sei e mezza a casa con il buio(per fortuna avevo luce sul casco e uno stop intermittente che ho legato alla giacca a vento), .
Sono arrivato a casa contento, contento di essere arrivato lassù.