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martedì 14 agosto 2012

Vedere, sentire, odorare, gustare, toccare

Qui sotto, metto degli appunti che scrissi per Bombacarta nel maggio 2005

«La caratteristica principale, e più evidente, della narrativa è quella d’affrontare la realtà tramite ciò che si può vedere, sentire, odorare, gustare, toccare. È questa una cosa che non si può imparare solo con la testa; va appresa come un’abitudine, come un modo abituale di guardare le cose». Flannery O' Connor.
Vedere, sentire, odorare, gustare, toccare. La narrativa è costituita di fatti, di cose concrete che possono essere saggiate attraverso i nostri cinque sensi. E perché va appresa, perché è tanto difficile affrontare la realtà in questo modo? A mio avviso questo procedimento è ostacolato dall'esperienza. L'esperienza - tanto utile, certamente, per fare meno fatica in procedimenti routinari e per non cadere sempre negli stessi errori - fa sì che quando entro in rapporto con un oggetto io vada a ripescare dalla mia testa un bagaglio di informazioni che io ho di quell'oggetto, e ve le appiccichi sopra. Bene, non appena ciò avviene, cesso di rapportarmi con quella realtà e spesso mi accontento di quello che già so; cala una specie di nebbia, una cappa che mi impedisce di apprezzare i dettagli e la freschezza del reale. "Te lo dico per esperienza" è una specie di suggello che un interlocutore appone per chiudere un discorso.
La fatica sta proprio nel costruire una nuova attenzione verso il mondo: mantenere la curiosità e lo stupore di un bambino che non ha niente da comparare rispetto a ciò che vede, perché quella realtà - a volte terribile, a volte splendida - si offre ai suoi occhi per la prima volta. Non dobbiamo raccontare di categorie, ma di persone - diverse le une dalle altre - , di oggetti, di realtà con le quali entrare in relazione e sporcarci le mani. Mi vengono in mente i "Reality Show", che vanno esattamente nella direzione opposta: luoghi dorati in cui delle persone si rinchiudono e devono, per sopravvivere, agire secondo i desideri di chi li guarda e di chi è vicino a loro, pena l'eliminazione; devono imparare ad agire per "categorie" di comportamenti, in cambio c'è chi provvede al loro sostentamento e a tutti i confort di cui hanno bisogno. E’ un paradosso che si parli di "Reality". 
Spegniamo la tv, per piacere, e usciamo. 
Le storie degne di essere raccontate ci vengono incontro, e noi andiamo incontro a loro. Senza fretta, senza affanno.
In fiduciosa attesa.
Toni La Malfa

venerdì 10 agosto 2012

Un gioco

Da un corso di scrittura di Giulio Mozzi:
Allora, il gioco è questo:
- scegliete un’azione di quelle che si fanno non dico senza pensarci, ma quasi;
- scrivete un testo in forma di “ricetta”, ossia una spiegazione il più possibile (anche parossisticamente) accurata di come si fa a compiere quell’azione.  

Qui sotto metto il mio esercizio:  
Allacciate la cintura
 
Ingredienti: una striscia bucherellata di pelle chiamata cintura, una pancia, un paio di pantaloni sprovvisti di elastico e dotati di chiusura a bottoni.

Preparazione: prendete una striscia bucherellata lunga circa un metro e mezzo, dotata in una estremità di fibbia con asticella semovente atta a penetrare i buchi situati nell’altra estremità della striscia. Tale attrezzo è comunemente chiamato cintura. Se non avete una cintura, prendete delle banconote o un bancomat o una carta di credito o un assegno e una carta d’identità per procurarvi il suddetto attrezzo. Se non avete banconote, ecc, potete andare a una malga per alcune stagioni di seguito per aiutare il fattore a mungere le mucche, e in cambio di tutto ciò fatevi dare una mucca. Uccidete la mucca, scuoiatela, essiccate la sua pelle al sole, conciate la pelle con additivi chimici atti ad ammorbidirla, prendete una striscia lunga un metro e mezzo, larga tre centimetri, e in cambio della carcassa e della sua carne procuratevi un punzone per forare la striscia in più punti e una fibbia con asticella semovente che vi farete cucire ad una estremità della striscia da un calzolaio in cambio di pulizia e riordino della bottega per giorni uno.
Ora avete la striscia.
I pantaloni li avete? spero di sì, altrimenti nottetempo potrete procurarveli in uno di quei contenitori gialli dove vengono messi capi d’abbigliamento per persone bisognose. Voi, appunto, se non avete nemmeno un paio di pantaloni in casa.Indossate i pantaloni con o senza mutande/boxer, non ha importanza. Una volta indossati, se sentite che i pantaloni vi cascano un po’ o completamente, potrete usare con soddisfazione la striscia prima summenzionata. Se sentite che i pantaloni non vi cascano, potrete usare la striscia con minore soddisfazione; potrete comunque usarla per soddisfare il vostro gusto estetico, perché vi avranno detto che indossare la striscia è trendy, cool, insomma una vera figata.

A questo punto, fate molta attenzione.

Prendete la striscia dall’estremità senza fibbia metallica, e infilatela nei vari ponticelli di stoffa posizionati alti sui pantaloni, sul bordo superiore, quello della pancia, non quello delle caviglie, uno a uno, senza saltarne nemmeno uno, altrimenti togliete nuovamente la striscia e ricominciate pazientemente da capo. Se siete maschi, dovrete cominciare a infilare la striscia nel ponticello a sinistra del bottone di chiusura dei pantaloni per riuscire, alla fine, da quello a destra del bottone di chiusura dei pantaloni. Se siete femmine, viceversa: dal ponticello a destra, arrivando alla fine del giro dei ponticelli di stoffa, a quello a sinistra del bottone dei pantaloni.

Ora siete quasi alla fine della procedura, coraggio!

Prendete l’estremità morbida della cintura e infilatela nella fibbia, la stringete fino a che trovetete il buco ideale per voi: quello in cui infilerete l’asticella semovente della fibbia al punto tale in cui i pantaloni non cadranno più e non vi sentirete strizzare la pancia come se fosse una salsiccia avvolta nel budello. Ecco siete davvero alla fine: infilate l’estremità morbida sovrapponendola ad una parte di striscia, infilandola in uno o due ponticelli di stoffa.
Avete allacciato la cintura, complimenti! Ora potete partire verso nuove emozionanti avventure!

venerdì 3 agosto 2012

Ricordo d'infanzia

Giulio Mozzi sta raccogliendo ricordi d'infanzia per scrivere un libro. Qui sotto riporto il mio ricordo che gli ho inviato.



Non voglio andare dalla nonna

Milazzo, settembre 1968, ho sette anni. Sono al “Lido Azzurro”, lo stabilimento balneare di mio zio.
Arriva mio padre e annuncia: “Oggi pomeriggio dovremo andare via un po' prima, verso le cinque e mezzo. Dobbiamo andare a mangiare dalla nonna.”
Appena mio padre si allontana con mia madre per fare due passi, mio fratello e le mie sorelle cominciano a sbuffare, e anch'io.
“Dalla nonna, che palle.”, dice Mimmo, mio fratello.
“Vorrei poter rimanere qui”dice Patrizia, mia sorella.
“Anch'io.” aggiunge Gabriella, mia sorella.
Mi viene un'idea. Verso le cinque e un quarto esco dal lido, c'è una fila di alberi e molte macchine parcheggiate. Mi piazzo dietro una macchina in sosta, mi siedo. Verso un quarto alle sei sento, all'interno del lido, la voce della mia mamma che mi chiama. Poi un'altra voce, quella di Mimmo, poi le voci delle mie sorelle, i miei cugini, il mio zio. Ad un certo punto nessuno più chiacchiera, ma si sente solo il mio nome, ripetuto, urlato da molti bagnanti. Io rido per così tante attenzioni, e me ne sto dietro la macchina. Poi la voce di un altoparlante che invita tutti a cercarmi. E' bellissimo.
Dopo un tempo lunghissimo – comincia ad imbrunire – penso: “Ormai è tardi, dalla nonna non ci andremo più.” Decido di uscire dal nascondiglio. Entrando, tutti si girano verso di me.
“Era uno scherzo, era uno scherzo!!”, mi metto a canticchiare.
Arriva il mio babbo con la faccia scura, che mi dà tantissime manate sul culo. Io piango.
E poi andiamo dalla nonna.